giovedì 27 luglio 2017

La Signora Milli














Intorno a metà di luglio Fiorella era andata col figlio ventenne a passare una settimana in Liguria a casa di Alice, ma cominciamo dall'inizio.
Lei era libera da impegni lavorativi, invece suo figlio in quel periodo stava facendo uno stage in una ditta, che si occupava di energie rinnovabile, la cui sede si trovava nei dintorni di Firenze, se non che il ragazzo,  con  un gruppo di tecnici ed operai, dovette andare in trasferta in un paese ai confini con la Liguria, per montare e collaudare un impianto di energia solare in una residenza  per anziani.
All'inizio il ragazzo era contento di quella esperienza di lavoro, raccontava alla madre delle peripezie nel montaggio dei pezzi, del carattere rissoso di uno degli operai e dei vecchietti buffi con cui pranzava nella grande mensa del centro; ma, pian piano, si era scoraggiato. Quando verso le sette di sera rientrava, si lamentava dicendo:
- Non ce la faccio più ad alzarmi così presto, mamma.
- Devi coricarti prima,  lo rimprendeva la madre.
- Non posso dormire con questa afa, non serve a niente andare al letto alle undici, anzi mi innervosisco e basta, poi non riesco più ad addormentarmi.
- Quanto ti manca per finire lo stage? chiese la madre.
- Alla fine di luglio chiudo.
Mentre lui  pronunciava queste parole, Fiorella pensò alla sua amica Alice la quale, la sera prima, l'aveva chiamata per dirle che era da sola al mare e che se voleva poteva raggiungerla. Era molto affezionata alla casa che aveva ereditato dopo la morte della madre e, appena poteva scappava verso la piccola cittadina ligure. Aveva una vespa e andava alle spiagge vicine alla città a prendere il sole e a fare il bagno, spesso incontrava alcune amiche d'infanzia, con le quali le piaceva molto chiacchierare.
Alice era generosa e disponibile con tutti, le piaceva stare in compagnia, ma quei pochi giorni da sola al mare se li godeva davvero.  Era la prima volta che  andava nella cittadina ligure senza le figlie e all'inizio faceva fatica ad abituarsi al silenzio della casa, ma ben presto ne scoprì il lato positivo.
L'indomani Fiorella chiamò Alice, che fu subito entusiasta di poter ospitare madre e figlio.
- D'ora in poi non dovrai alzarti più alle sei del mattino, andremo a stare nella casa di Alice che dista pochi da dove lavori, disse Fiorella al figlio, quando quella sera ritornò a casa, stanco e abbattuto come il giorno prima.
- Non ci posso credere, mi sembra un miracolo, non dovrò più fare levatacce, disse il ragazzo sorridendo.
Una delle figlie di Alice aveva deciso all'ultimo momento di andare dalla madre, quindi avendo l'appartamento tre camere da letto, rimaneva libera per gli ospiti solo la camera matrimoniale.
Fiorella temeva che sarebbe stato faticoso dormire insieme al figlio, prima di coricarsi si era preparata ad ascoltare suoni strani che uscivano dal cellulare o musica ad alto volume dal computer portatile, invece il ragazzo era tranquillo, parlarono un po', dopo  di che lui si mise le cuffie e lei si rilassò. Prima di addormentarsi, le tornarono in mente le volte in cui si era trasferita nel letto del figlio quando era piccolo, le notti in cui lui si svegliava spaventato o in cui gli era salita la febbre.
Le due amiche presero in quei giorni l'abitudine di fare colazione con calma, ascotavano la radio e nel frattempo decidevano dove andare a fare il bagno e cosa avrebbero preparato per cena.
Fiorella la prima mattina, mentre prendevano un tazza di tè, disse all'amica:
- In questi giorni sarò io la cuoca, non voglio essere un peso per te.
- Non coccolarmi troppo, altrimenti, non vi lascio ripartire, rispose l'amica ridendo.
Alice portò Fiorella in vespa al mercato del pesce, la quale rimase affascinata dalle voci, dai colori e gli odori. Comprarono frutti di mare e un branzino. La frutta e la verdura la presero nei negozi del quartiere.
Una mattina,  uscendo di casa, incontrarono la signora Milli, una vedova ottantenne che viveva nelle vicinanze. Fiorella notò che, nonostante il viso della Signora Mille fosse solcato da tante piccole rughe, c'era qualcosa che la ringiovaniva, forse gli occhi vispi che  trasmettevano simpatia. Il cesto che teneva a braccetto dondolava da solo al ritmo del movimento del corpo mingherlino della padrona. I suoi capelli grigi, raccolti in una crocchia, erano spettinati con garbo.
La signora Milli parlò a lungo delle sue figlie, Manuela e Sara, che Alice conosceva bene perché erano sue coetanee. Si erano perse di vista, perché, sia le due sorelle che Alice, si erano trasferite da giovani lontano dalla cittadina ligure.
- Quasi tutti i giorni le mie figliole mi chiamano e mi raccontano i loro piccoli dispiaceri, ma io sono contenta lo stesso, mi basta sentire la loro voce. Nessuna delle due mi ha dato un nipotino, pazienza! Manuela non ne po' più di fare l'insegnante, ma ultimamente, quella che mi preoccupa è Sara.
- Ma, cosa è capitato a Sara? Sapevo che era diventata un pezzo grosso all'ospedale di Como, ribadì Alice incuriosita.
- Si, ha sempre lavorato tanto, forse troppo. Ma da quando la malattia del marito è peggiorata, non ha tregua. Adesso lui si muove poco e lei non riesce ad accudirlo come vorrebbe.
- Mi dispiace tanto, mi sembra di vederla ancora coni libri sotto braccio, quando veniva a prendermi ogni mattina per andare al Liceo; era una ragazza eccezionale, era la più brava della classe.
- Ha sempre voluto essere la prima in tutto, richiede troppo a se stessa, ma adesso è crollata, non ce la fa più, ultimamente mi dice che vuole morire, disse la Signora Milli.
- Vedrà che sarà un po' esaurita e si rimetterà, aggiunse Alice per tirarla su.
- Ma è troppo rigida, non vuole aiuti da nessuno, non so più come dirle che se continua così si ammalerà; io non voglio soffrire più, vorrei vivere gli ultimi anni, mesi o giorni della mia vita serenamente, poi fece una pausa e domandò:
- Adesso dimmi di te e delle tue figlie.
Alice parlò un po' della sua vita a Firenze, del suo lavoro e delle figlie, ma a un certo punto la Signora Milli salutò entrambe in fretta, dicendo che si era fatto tardi e che doveva rientrare a casa.
Le amiche, mentre aspettavano il loro turno dal fruttivendolo, parlarono della Signora Milli e della sua gentilezza, ma soprattutto della strana fretta nel voler ritornare a casa, col cesto vuoto, senza aver fatto la spesa.
Fiorella, pensando alle parole della vecchietta, disse alla amica:
- Deve essere terribile sentire un figlio dire che vuole morire. Ma questa donna ha molta forza e credo che se la caverà bene da sola.
- E' da tanto che è rimasta vedova, ma forse hai ragione tu, deve essere abituata alla solitudine, disse Alice.
- Perché non la invitiamo domani a cena? propose impulsivamente Fiorella aggiungendo:
- Sempre che tu sia d'accordo, possiamo invitare anche quei due vicini simpatici che abbiamo incontrato ieri per le scale, l' ufficiale di marina in pensione e la moglie, cosa ne dici?
Alice non sembrava del tutto convinta, forse per il troppo trambusto che comportava la cena, poi pian piano, l'idea le piacque ed entrambe cominciarono ad organizzare il da farsi.
I vicini del secondo piano le risposero con vero dispiacere che non  avrebbero potuto esserci perché dovevano andare a trovare il figlio a Roma.
Chiamarono la Signora Milli, la quale in un primo momento fu  contenta dell'invito, ma  subito dopo si mostrò titubante, perché non sapeva come dire loro che c'era un piccolo problema, ma respirò profondamente e trovò il coraggio di confessare il suo segreto:
- Ho un compagno, l'ho conosciuto l'anno scorso, ci siamo frequentati a lungo scoprendo che stiamo veramente bene insieme; anche lui è vedovo e da qualche mese è venuto a stare da me. Ma non mi fido di lasciarlo troppo da solo, dato che ultimamente soffre di mancamenti.
- Porti anche lui, saremo molto felici di conoscerlo, disse Alice.
- Davvero? Non osavo chiedertelo. Come sono contenta, grazie, grazie, mia cara! Allora saremo da te domani alle otto in punto.
I ragazzi, contrariamente a quello che pensavano le amiche, furono felici di avere ospiti a cena e si occuparono delle bevande e della frutta. Comprarono due bottiglie di vino e un gran cocomero.
Alice volle prendere dei gerani per la terrazza, dove i ragazzi portarono il tavolo e le sedie; poi apparecchiarono con una bella tovaglia e le migliori stoviglie della casa.
Fiorella cucinò un primo piatto a base di pesce e Alice preparò uno sformato di zucchine e  del pesce al forno, con tanto rosmarino.
La signora Milli e il compagno arrivarono puntuali con un dolce. Erano vestiti da festa e non smettevano di ringraziare:
- Non potete capire quanto siamo contenti di essere stati invitati, disse l'uomo levandosi il cappello che indossava.
Quella sera se qualcuno di voi avesse potuto sbirciare nella terrazza di Alice, illuminata da due grosse candele che si consumavano lentamente, avrebbe visto sei commensali ridanciani di età molto diverse, che mangiavano volentieri,  riempivano spesso i loro bicchieri di vino e chiacchieravano animatamente. Guardando con più attenzione avreste notato che ogni tanto le due amiche si guardavano e sorridevano soddisfate, come se si volessero dire:
- Che bella idea è stata invitare a cena la Signora Milli. 







 





lunedì 24 luglio 2017

Petites coïncidences et gens formidables
















David Ludtke me  escribió lo que sigue, pero antes de leer  su historia tendrías que  abrir su página facebook Le sourire d'Hugo:

https://www.facebook.com/david.ludtke.10

Lors de notre périple en Italie, nous avons été accueillis chez Josefina et Umberto le deuxième jour. Josefina nous fait part de son ressenti, depuis son retour de l’école ce jour là, dans un article qu'elle a écrit:

Le cours de ce samedi a été plus divertissant que je ne le pensais. Il y avait peu d'étudiants et nous avons bien travaillé. Nous avons eu des discussions intéressantes.
C’était une journée merveilleuse. J’ai fait le voyage sans hâte, en regardant le paysage verdoyant parsemé de vignes et d'oliviers. Puis la végétation méditerranéenne a disparu, pour faire place aux pins et aux épinettes.
J'ai passé le col de Consuma et je suis redescendue dans la vallée en longeant la rivière Arno. J’ai commencé à remarquer les plantes de genêts jaunes. Quand je suis arrivée, j’ai marché dans le jardin, en regardant les buissons de roses. J’ai pensé à quel point la grand-mère et la mère de mon mari qui avait vécu ses dernières années dans cette maison les aimaient tant toutes les deux. Mon mari était dans la cuisine en train de préparer le repas.
- Comment s’est passé ta sortie en vélo ?
- Attends, je te dis après car je vais prendre une douche d’abord, a-t-il dit. Alors que nous mangions la laitue du jardin, cultivée dans le fond du jardin par le frère de mon mari, il m’a dit que ce soir, nous aurons d'autres invités.
- Bien, mais qui sont-ils? J’ai essayé d’imaginer qui ils étaient.
- Non, tu ne devineras jamais, dit-il
Puis il m’a raconté son histoire : J’étais à quelques mètres de la Consuma. Alors que je transpirai après avoir bien pédalé et que le soleil était de plus en plus fort, j'ai repéré un garçon athlétique d’une quarantaine d’années qui poussait un fauteuil roulant coloré avec dedans un enfant d’environ huit ans.
Je l'ai dépassé en le saluant et au sommet de la route, nous nous sommes arrêtés tous deux pour boire un peu d'eau et prendre du repos. Nous nous sommes présentés. Il a dit que son nom était David et qu’il allait passer par Assise puis qu’il se dirigerait jusqu’à Rome avec Hugo, son fils. Ils étaient de Strasbourg et était arrivé il y a deux jours avec sa voiture à Florence, où après avoir l’avoir laissé dans un garage, il a commencé son pèlerinage. Il avait décidé de prendre cette route parce qu'elle était en retrait et plus calme mais il n'avait pas réalisé la difficulté de la pente. Il était très chargé et il s’accrochait au fauteuil roulant de son fils qui était équipé de sacs, de bagages, de gilets réfléchissants, de drapeaux et de nourriture, etc.
Dans un français scolaire et approximatif, j'ai demandé : - Savez-vous où vous passerez la nuit ?
- Il m’a répondu : je pense que ce sera dans la région de Casentino, Poppi ou Bibbiena.
- Je lui ai répondu que s’il allait à Poppi et si vous le voulez vous pouvez rester dormir à la maison. Je laisse mon numéro de téléphone portable, appelez-moi quand vous y arriverez, ai-je dit.
- Je vous remercie, je pense que je serai à Poppi vers quatre heures de l'après-midi. Et il me dit au revoir en me serrant dans ses bras.
Quand mon mari a cessé de parler, je pensais que je n’étais pas très enthousiaste mais je voulais quand même aider ces étrangers. A quatre heures, Mon mari se tenait sur la place du village et attendait leur arrivée. Il l’aperçu de loin, il était cinq heures l'après-midi. Il avait pris un peu plus de temps que prévu parce qu'il a fait doucement dans la descente car le fauteuil n’a pas de freins. David avait pris son fils dans les bras. Il a dû aller lentement pour ne pas tomber dans le fossé. Quand ils sont arrivés, j'étais assise sur une chaise du jardin en train de lire un livre.
J’ai été stupéfaite par le courage et la bonté de l’homme qui se tenait devant moi mais ce qui m’a impressionné le plus, c’est le sourire d'Hugo. David a débarrassé ses affaires et les a mises dans la salle réservée à nos enfants, qui depuis longtemps n’étaient plus venus avec nous ici. Notre invité a pris bien soin de son fils. Il le déshabilla et le lava avec un dévouement que nous étions peu habitués à voir. Nous avons préparé le dîner. Hugo et David nous ont demandé s’ils pouvaient venir avec nous dans la cuisine.
- Cuisine, dit le garçon.
Il a passé plus d'une heure à nous regarder et à rire:
- Sais-tu comment ce légume se dit en espagnol ? Zanahoria, ai-je dit.
- Zanahoria, a-t-il répété.
Il aimait apprendre de nouveaux mots.
Puis mon mari a plié une bouteille en plastique et l’a jeté de loin dans l’endroit prévu à cet effet. Hugo se mit à rire aux éclats tant il aimait ce jeu.
Nous nous sommes amusés, très longtemps avec Hugo. Puis le frère de mon mari et sa femme sont venus. Ils vivent dans le village depuis toujours. Nous avons dîné ensemble. David donnait patiemment des morceaux de tortilla à Hugo qui la dévorait en un tournemain.
Après le dîner, nous avons regardé la télévision mais sans grand intérêt. Comme notre télévision n’avait plus d’image de temps en temps, nous lui avons donné quelques coups dessus. Hugo nous a dit : encore, encore.
Vers neuf heures, après avoir couché son enfant, David s’est assis dans le canapé. Son visage avait l'air détendu mais nous pouvions voir aussi la fatigue du voyage sur celui-ci.
- Je suppose que vous êtes épuisé ? Demandai-je.
- Oui, un peu, mais je ne veux pas me coucher parce que je veux savourer ce moment avec vous, en pensant à toutes les coïncidences qui ont surgi dans ma vie aujourd'hui. La première a été de trouver un cycliste alors que je commençais à me décourager à cause de la chaleur et de la route trop raide. La seconde de me rendre dans votre maison, de voir le jardin plein de roses et d’entendre ma musique préférée, le jazz. La troisième de tomber sur des végétariens comme moi et la quatrième de découvrir que le nom de mon grand-père italien est très fréquent dans cette région.
Nous avons continué à parler de certains moments de nos vies. J’ai retenu une des dernières paroles de David :
- lorsque nos jumeaux prématurés sont nés, on nous a dit que l'un des deux avait des problèmes et qu’il serait handicapé à vie.
Je me suis écroulé, mais j’ai décidé de réagir. Ma femme et moi nous avons créé l'Association le sourire d'Hugo.
Cela nous a sauvé et nous a donné beaucoup d'énergie. C'est comme cela que j'ai entrepris ce pèlerinage.
Le lendemain matin, nous avons pris le petit déjeuner assez tôt pour permettre à nos invités de reprendre leur chemin avant que le soleil ne chauffe trop. Nous les avons accompagnés jusqu’à la place du village où se trouvait un groupe de cyclistes. C’était des amis de mon mari qui ce jour-là avaient été retardés parce que l'un d'entre eux avait une de ses roues crevée.
Hugo a beaucoup aimé les cyclistes et il riait pendant que ceux-ci tournaient autour de lui. Nous nous sommes quittés en nous promettant de nous revoir.
Alors que David et Hugo s’éloignaient vers la route d'Arezzo, je me suis dit que, parfois, des petites coïncidences nous donnent l'occasion de rencontrer des gens formidables.

Extrait du texte de Josefina Privat traduit de l'Espagnol dans son Blog:

Relato en español: 



giovedì 13 luglio 2017

Trece de julio - Tretze de juliol - Tredici di luglio

















13 de julio 2017

Hace treinta años vivía en otra casa, pero aquel 13 de julio, como hoy, me levanté temprano y como ahora me sentía feliz: amaba a mi marido, al cabo de dos meses iba a tener  mi primer hijo, había ganado oposiciones para la enseñanza de la escuela pública, habíamos comprado un piso, que un equipo de albañiles estaba reformando y al día siguiente iba a cumplir treinta y un años. ¿Qué podía desear más de la vida?
Aquella mañana fui a hacerme la última ecografía, fue el inicio de la desgracia.
Después de lo que pasó, mi mundo se desmoronó y durante algún tiempo tuve miedo de ser feliz, porque pensaba que después de lo bueno, bueno, siempre llegaba lo malo, malo.
Ahora que han pasado tantos años he aprendido a aceptar más las adversidades de la vida e he logrado escribir lo que sentí en aquellos días de julio de  treinta años atrás.
Aquí tenéis el relato dividido en tres partes:


13 juliol 2017

Fa trenta anys vivia en una altra casa, però aquell 13 di juliol, com avui, em vaig aixecar d'hora i com ara em sentia feliç: estimava al meu marit, esperava el primer fill a  finals d'agost, havia guanyat oposicions per a l'ensenyament  a l'escola pública, havíem comprat un pis, que un equip de paletes estava reformant i l'endemà compliría trenta-un anys. Que podia desitjar més de la vida?
Aquell matí vaig anar a fer-me l'última ecografia, va ser l'inici de la desgràcia.
Després del que va passar, el meu món es va ensorrar i durant algun temps vaig tenir por de ser feliç, perquè pensava que després de les coses bones, bones, sempre arribavan les dolentes, dolentes.
Ara que han passat tants anys he après a acceptar una mica més les adversitats de la vida, f
ins i tot he aconseguir escriure el que vaig sentir aquell tretze de juliol de fa trenta anys:
Aqui teniu el relat dividit en tres parts:


13 luglio 2017
Trenta anni fa vivevo in un'altra casa, quel 13 di luglio, come oggi, mi ero alzata presto e come adesso mi sentivo felice: amavo mio marito, aspettavo il primo figlio, che doveva nascere due mesi dopo, aveva vinto il concorso per insegnare nella scuola pubblica, avevamo comprato un appartamento, che una squadra di muratori stava ristrutturando e il giorno successivo sarebbe stato il mio trentunesimo compleanno. Cosa potevo desiderare di più della vita?
Quella mattina sono andata a farmi l'ultima ecografia ed è stato l'inizio della mia sventura.
Dopo quello che è successo, il mio mondo è crollato e per un po' ho avuto paura di essere felice, perché ho pensato che dopo le cose belle, belle, arrivano sempre quelle brutte,  brutte.
Adesso che sono trascorsi così tanti anni ho imparato ad accettare di più le avversità della vita e sono riuscita a scrivere quello che ho sentito quel tredici luglio di trenta anni fa, ecco il racconto diviso in tre parti:



lunedì 3 luglio 2017

Tres mujeres en el balcón














Había llegado el verano de golpe. Por la noche hacía un poco de fresco, sin embargo de día caía un sol tan fuerte que la ciudad se transformaba, en un amasijo indistinguible de casas, calles, plazas, terrazas, coches, autobuses, papeleras, farolas y avenidas ardientes, como si fuera un gran tejado de lata, que si lo tocas te quema.
Aquel día de mitades de junio era el primero en que Flavia no trabajaba y se deleitó en la cama sumergida en un revoltijo de pensamientos positivos:
- Hoy no quiero pensar ni en el trabajo, ni en la nevera vacía, ni en los quehaceres caseros, ni en las facturas que caducan, ni en la familia, en nada. Me encanta el mes de junio, este año quiero realmente saborearlo.
Desde siempre Flavia anhelaba la llegada de aquel mes; primero de jovencita porque ya faltaba poco para finales de curso y de adulta, siendo profesora como era, porque terminaba de dar clases en el Instituto. A veces, como aquel año, no le tocaba tomar parte en el tribunal de los exámenes de revalida y por eso iba a tener mucho tiempo libre para hacer lo que le gustaba: leer o escribir en su diario, pero aquel bochorno era insoportable y cuando el sol picaba, no paraba de abrir y cerrar ventanas, encender y apagar ventiladores, bajar y subir persianas. Al final cansada iba a refrescarse bajo la ducha. Y no digamos que por la noche ella pudiera descansar como debiera: primero tapaba con una cortina la ventana del dormitorio para que no entraran mosquitos, mientras tanto leía algunas páginas de una de las novelas que tenía empezadas; luego sentía un ahogo molesto y acababa por levantarse, corría la cortina y abría los postigos de par en par; después apagaba la luz y se acostaba de nuevo, sin embargo al cabo de poco volvía a cerrar la ventana porque pasaba algún que otro trasnochador gritando por la calle. De madrugada finalmente se dormía gracias a la brisa fresca, sin embargo hacia las cinco de la mañana comenzaba a entrar luz y ella o su marido se levantaban otra vez para bajar de nuevo la persiana.
Parecía que en aquella casa durante los días calurosos todos tuvieran el baile de San Vito.
Mientras Flavia soñaba con transcurrir el fin de semana en un lugar fresco lejos de aquella ola de calor, sonó el móvil.
- ¿Qué tal Flavia? ¡Qué calor tan horroroso que hace hoy! ¿Qué estabas haciendo? Le preguntó Francesca, a su amiga.
- ¡Qué alegría oír tu voz! Estaba recreándome en la cama, pues esta noche casi no he pegado ojo.
- Por eso mismo, mi marido y yo quisiéramos invitaros a pasar el fin de semana en Assisi, donde se está mejor, pues estando como está a  unos cuatrocientos metros de altitud, por noche el aire es más fresquito. Nos gustaría ir a pasear por las montañas de Castelluccio de Norcia donde ahora florecen los campos amapolas, de lentejas y demás plantas de cultivo. Los colores de las flores son bellísimos, parecen alfombras, con matices rojos, violetas, azules y amarillos, dijo entusiasmada Francesca. ¿Os apuntáis?
- Me parece una idea estupenda. Le respondió Flavia.
- Podríamos salir el viernes por la tarde ¿Qué te parece? Ahora tengo que colgar porque estoy en el despacho. Llámame luego para quedar. Francesca fue diciendo todo eso de un tirón, pues en aquel momento un compañero de trabajo se había asomado a la puerta y le estaba requiriendo algo.
- Vale, te voy a llamar más tarde. Gracias por la invitación. Le contestó Flavia.
Por la noche Flavia se lo comentó a su marido y decidieron que aquel fin de semana irían a Assisi con sus amigos.
Salieron, como habían planeado, hacia media tarde; en la autopista, cerca de Perugia, encontraron un poco de cola, sin embargo lograron llegar a Assisi antes de las ocho. La vivienda estaba en el segundo piso  de un edificio medieval ubicado en la parte alta de la plaza del Comune. Hacía calor, pero al llegar abrieron todas las ventanas para que el aire nocturno refrescara los cuartos. Antes de salir de nuevo se detuvieron unos minutos en el balcón, que recorría toda la fachada, para admirar la ciudad desde lo alto. Luego se fueron a cenar.
Las tabernas del casco antiguo estaban abarrotadas de gente, pues en aquella época, además de turistas, había peregrinos que deseaban visitar la Basílica de San Francesco y los demás lugares del Santo, por lo tanto cogieron de nuevo el coche y fueron alejándose de la ciudad; al final tuvieron suerte encontrando, a unos diez kilómetros, una fonda de comidas caseras.
Se sentaron bajo una parra, en una de las pocas mesas libres que quedaban. Flavia enseguida se dio cuenta de que toda las personas que había a su alrededor eran aldeanos, porque se les veía joviales, de risa bonachona y hablaban chillando. Los camareros también eran alegres y campechanos.
Mientras esperaban a que llegaran los platos, Flavia le preguntó a Francesca:
- ¿Desde cuándo es de tu familia la casa donde nos alojamos?
- Desde hace cantidad de años. Creo que la compraron mis bisabuelos por parte de madre, sólo sé que a principios del siglo pasado dos primas solteras de mi abuela vivían allí. Cuando murieron la abuela heredó una tercera parte de la vivienda, pero luego compró a sus hermanos los restantes dos tercios.
- ¿Tú las conociste a las primas de tu abuela?
- ¡Qué va! Murieron poco antes de que yo naciera, fueron desafortunadas las pobres; a ver si me acuerdo de todo lo que mi abuela me  contaba:

Empezaba diciendo que eran un poco raras, la mayor era melancólica, solía salir poco de casa, era muy trabajadora, cosía, o mejor dicho remendaba, cerca del balcón, vestidos, trajes, colchas, camisas, cortinas, toallas, en fin toda la ropa vieja y raída que atiborraba los armarios; mientras zurcía, miraba de vez en cuando tras los visillos, tal vez con la esperanza de ver a su amado,  quien se había ido a la guerra del catorce y que nunca más se supo de él. Tenían una criada que se ocupaba de la limpieza y de la cocina, con los años se volvió un poco majadera, hacía gestos desagradables a quien fuera a visitar a las solteronas, estaba celosa de los forasteros porque tenía miedo de que le robaran sus señoritas, por eso mi abuela iba a verlas cuando la criada se marchaba al mercado. Los muebles eran pobres, menos algunos que indicaban ciertos esplendores pasados, las sillas con la tapicería estropeada y las esteras agujereadas; vivían con estrechez desde que el padre, al quedarse viudo, había despilfarrado casi todo el patrimonio, jugando a cartas. Habían tenido que vender parte del caserón y muchos muebles, quedándoles solamente aquella vivienda repleta de cachivaches. Al viudo una noche lo atropellaron, las malas lenguas dijeron que iba borracho. Su situación económica fue cada vez empeorando.  La menor al principio se pasaba toda la mañana en la cama gimiendo por las desgracias, pero tuvo que espabilarse yendo a ver a abogados para gestionar las deudas que el padre había contraído con algunos acreedores y salir  a finales de mes a cobrar las pocas rentas que les proporcionaban los alquileres de algunas tiendas y almacenes. La criada le organizaba las citas y a veces la acompañaba, sugeriéndole cómo debía actuar,  viendo que ésa no tenía agallas para  luchar y hacerse valer. La menor además era   lunática y un poco latosa, solo sabía hablar de las grandezas de sus antepasados, su tema preferido era alabar la belleza y el esplendor de la tumba de  familia. La mayor platicaba poco, pero cuando en verano por la noche  sacaban las sillas al balcón, se divertía escuchando a su hermana y a la criada, imitando a los abogados gandules o a los inquilinos que no querían pagar.
 
- ¡ Vaya trío de mujeres! Dijo Flavia.
- Las tres perdieron la razón, pero lograron vivir cada  cual en su mundo y a su manera, recordando tiempos pasados y antiguas glorias. Hasta que la criada enfermó y el equilibrio se quebró. Mi abuela nos decía que en pocas semanas murieron las tres.
Llegó el camarero con cuatro porciones de torta al testo y strangozzi, mientras saboreaban aquellas delicias la conversación torció hacia otros temas, sin embargo Flavia aquella noche antes de dormirse no dejó de pensar en las tres mujeres.
Al día siguiente prepararon mochilas para irse de excursión a los prados floridos de Castelluccio. Cogieron el coche y sin prisas se fueron parando en cada pueblo, para visitarlo. Almorzaron en una zona de montes verdes, con lomos suaves, donde había un restaurante especializado en trufas y fue allí donde supieron, por el dueño del establecimiento, que la carretera para Castelluccio aún estaba cerrada, a causa del terremoto que unos meses atrás había provocado el derrumbe de pueblos enteros.
- Iremos a Norcia dijo el marido de Francesca quien conocía bien la zona.
- Vale. Dijeron todos.
Compraron salchichones y quesos típicos en una de las antiguas charcuterías de la ciudad, que poco a poco iban reabriendo, después de la inesperada sacudida violenta de la corteza terrestre. La mayor parte de los edificios no eran aptos para vivir y la gente se las arreglaba como podía en caravanas o pequeñas viviendas prefabricadas.
Les impresionó ver casas agrietadas, la iglesia mayor derrumbada y montones de escombros que cubrían largos tramos de algunas calles, por las que aún no se podía pasar. Por la noche no  pararon de hablar de aquella tierra terremoteada.
Al día siguiendo decidieron quedarse en Assisi, pero evitaron los lugares turísticos; fueron paseando por la zona del anfiteatro romano, en cuyo interior en la época medieval habían construido algunos edificios, luego fueron descendiendo hacia el cementerio monumental.
Francesca les dijo que quería ir a llevar flores a la tumba de sus tíos. Le costó mucho encontrar los nichos, pero después de dar algunas vueltas dio con ellos. Mientras ponía las flores en los floreros laterales, les contó a Flavia y a su marido, que su tía Bruna, quien en realidad se llamaba Elisa,  siempre había estado muy delicada de salud, la única hija que tuvo también sufría de nervios. En cambio su tío era un señor muy activo y siempre había sido muy cariñoso con ella.
- Me gustaría volver a ver la tumba de mi bisabuela, donde también están enterradas las  tres mujeres de las que anoche os hablé.
- ¿La tumba de tus abuelos y la de tus padres  están en otro camposanto? Le preguntó Flavia.
- Si, sepultamos a mis padres y a mis abuelos en Ancona, donde en los años treinta se mudó toda la familia, a raíz de que el abuelo había ganado oposiciones de catedrático en el Instituto Politécnico, siendo como era ingeniero de caminos. Es allí donde mis padres se conocieron y donde nacimos mi hermano y yo.
- Ahora lo entiendo, dijo Falvia.
- Recuerdo que de pequeña cuando iba a pasar los veranos a Assisi, en una casita con jardín a los pies de la ciudad, cada dos por tres acompañaba a mi abuela al cementerio, para llevar flores a la tumba de sus antepasados, que debe de estar  en la parte más antigua, dijo Francesca.
- Subamos la cuesta por el camino principal, allí veo que sobresalen la cúpula de una capilla y los techos de algunos mausoleos, propuso el marido de Flavia.
- Se apedillaban Ceccarani, dijo Francesca.
Todos nos dirigimos hacia la parte alta y nos pusimos a buscar la tumba de la familia Ceccarani. Al cabo de media hora, cuando ya habíamos perdido toda esperanza, Francesca gritó:
- Ahí está. Es ésa, la de la derecha.
Vimos un amasijo de piedras gastadas, las columnas estaban quebradas, pero en la lápida aún podía leerse: Familia Ceccarani. Las fechas y los nombres de las personas enterradas allí estaban completamente borrados.
- Creo que  en los años cincuenta fueron sepultadas las primas de mi abuela y  su criada, a quien los demás familiares no la querían  de ninguna manera, pero insistieron tanto las solteronas que lo consiguieron, luego nadie más fue enterrado allí. Dijo Francesca un poco pensativa.
Depositó  un ramillete de flores, que  se había guardado, en una de las grietas de la losa de mármol grisácea, que la intemperie y el descuido había ido consumiendo.
Mientras volvían a casa Flavia traía a la mente las tres mujeres  enterradas juntas. Un voz que venía del balcón le sacó de sus pensamientos.
- Apresuraros, la mesa está lista, les gritaba el marido de Francesca, quien se había ido antes a casa para preparar la comida, pues a él le encantaba cocinar.
Mientras devoraban un plato de penne all'arrabbiatta, que por cierto le había salido al cocinero delicioso, iban bebiendo vino rosado frío y haciendo tertulia; al principio le contaron la historia de la tumba abandonada y luego, ya de sobremesa, la conversación se desvió hacia temas más cotidianos: que si el trabajo, la situación política del país, la rutina de la pareja, los hijos ventiañeros, los achaques, etc.
Echaron una siesta breve. Después  lavaron los platos,  limpiaron el cuarto de baño,  pasaron el aspirador y  arreglaron el piso. Al final cada uno recogió sus cosas y las puso en la maleta. Mientras cerraban las ventanas y la puerta de la casa, Flavia pensó en que aquellos días transcurridos en aquella casa le habían cundido de verdad, pues  se  había estado muy a gusto con sus amigos  y  había sabido de las tres mujeres del siglo pasado, quienes, a pesar de las desgracias acaecidas, se iban ayudando para que su vida  fuera más llevadera.
Ya en el coche, sentada en el asiento de atrás, a pesar de que el aire acondicionada estuviera conectado, notaba un bochorno raro, por eso  quizás se le fueran cerrando los ojos;  se despertó de pronto y recordó una imagen de su sueño: tres mujeres en el balcón, refrescándose con jarros y cántaros de aqua fresca.