venerdì 22 gennaio 2016

Anastasia




Carla si era alzata tardi quel giorno. Avrebbe dovuto lavorare, ma una sua compagna le aveva chiesto di cambiare il turno, quindi era libera tre giorni di fila. Le piaceva il lavoro che faceva, si sentiva soddisfatta, ma quando arrivava il fine settimana era scoraggiata e molto stanca. Dimenticava o meglio scansava tutto quello che avrebbe voluto fare: uscire col marito, andare a vedere una mostra o un film, chiamare un'amica, passeggiare lungo il fiume o girare tra le bancarelle del mercato. Quella mattina sbrigò le faccende indispensabili in pochi minuti e ordinò la spesa attraverso Internet.
Il primo giorno era stata per lei una liberazione restare a letto fino a tardi a leggere un libro, perché quando Pietro, suo marito, era in casa si sentiva in colpa e non lo faceva. L'indomani aveva perso l'entusiasmo iniziale, inoltre non riusciva a concentrarsi sulla lettura e quel non decidersi ad alzarsi era diventato per lei un incubo.
- Almeno combinassi qualcosa, invece di stare a rimuginare sotto le coperte. Pensava.
Si fece forza e scese dal letto, ma sempre in camicia da notte passava ogni tanto, dalla poltrona al divano e viceversa. Non era riuscita a farsi la doccia a un'ora decente, quindi verso mezzogiorno e mezzo si era vestita in fretta e furia ed era uscita ancora con i cappelli bagnati, per andare a prendere il giornale.
Il marito tutti i giorni rientrava a casa col giornale, adesso che era partito Carla si era obbligata a comprarlo perché la sua lettura l'avrebbe avvicinata al mondo e poi perché sapeva che quando suo figlio andava a trovarla, la prima cosa che cercava in casa era il giornale.
Era parecchio tempo che sognava di stare qualche giorno da sola, senza marito e figli. Da un anno i ragazzi erano andati a vivere per conto proprio e Pietro aveva intrapreso un breve viaggio. Era felice per lui, ma forse era anche un po' gelosa, ma non voleva riconoscerlo. Anzi era stata lei a insistere perché Pietro si decidesse a partire.
- Perché non mi so godere le giornate libere? Riesco solo ad occuparmi delle altre persone, di me stessa non ne sono capace. Mi tormento pensando a quello che potrei fare e poi quando ho la possibilità di agire rimango a letto immobile.  Ho tutto, ma  vedo il vuoto  se mi guardo indietro. Come mai? Si domandava Carla.
Quel sabato si sentiva in trappola e non sapeva come scrollarsi di dosso le ansie e le paure. Lasciò indietro il giornalaio e ritornò lentamente a casa senza guardare niente e nessuno, ma a un certo punto le venne in mente il mazzo di chiavi:
- Devo andare a farne una copia, per lasciarla nascosta da qualche parte in cantina, ho paura di rimanere prima o poi chiusa fuori di casa. Disse tra sé e sé, mentre si incamminava verso il  ferramenta del quartiere.
Nel negozio c'erano diverse persone. Carla si mise in fila ad aspettare. Quando le toccò il turno era purtroppo l'ora di chiusura, il commesso le fece sapere che ci voleva troppo per fare la chiave della porta blindata, quindi la invitò a ritornare nel pomeriggio.
Per strada vide una donna di mezza età che trascinava due borse strapiene. Era magra e ben proporzionata, nonostante una certa trascuratezza era ancora bella.
- Chissà cosa le era successo?  Cosa è stata la vita negli ultimi mesi per quella persona? E per me che ho tutto?  Si domandò  penseriosa.
La donna delle borse si sedette in una panchina di piazza San Ambrogio e appoggiò il suo ingombrante bagaglio per terra. Muovendo delicatamente le sue ditta raccolse le ciocche di cappelli grigio-biondastri, che le erano scivolate via dal fermaglio, in una piccola crocchia, poi da una borsa tirò fuori un libriccino.
Carla era incuriosita da quella donna e si sedette nella stessa panchina a leggere il giornale.
- E' stato un inverno molto freddo, pensò Carla guardando la pelle screpolata del viso e le mani coperte da geloni della donna accanto.
Dopo qualche minuto Carla ruppe il silenzio dicendo:
- Come si sta bene oggi al sole.
La donna sorrise e cominciò a parlare con Carla, come se la conoscesse da tutta la vita. Lodò la fortuna di poter stare all'aria aperta e dopo aver respirato profondamente un paio di volte le raccontò la sua storia.
Carla fu colpita dalle parole di Anastasia, così si chiamava quella strana donna.
Anastasia era rimasta vedova pochi giorni dopo aver compiuto sessanta anni, il marito soffriva di cuore da parecchio tempo, ma quella morte era stata inaspettata. La donna sospettava che il marito avesse ingoiato diverse pasticche per dormire, ne trovò una boccetta vuota, qualche giorno dopo, nascosta nel cassetto del comodino, tra le cose di lui. Non era del tutto convinta della sua supposizione, ma quando venne a sapere che il marito era pieno di debiti, capì il suo gesto estremo, anche se i dottori parlavano di infarto fulminante.
In pochi messi perse tutto: la casa fu ipotecata e poi pignorata, i conti in banca prosciugati. Anastasia non aveva mai lavorato in tutta la vita, dipendeva dal marito sia economicamente che psicologicamente. Lui si occupava di tutto, lei lo amava e aveva fiducia in lui, quindi gli aveva dato carta bianca su tutto. Anastasia, ogni mattina, essendo molto pigra e senza entusiasmo per quello che succedeva fuori delle loro quattro mura, rimaneva in camicia da notte fino a mezzogiorno davanti al televisore. Non avendo figli sbrigava velocemente le faccende domestiche nel primo pomeriggio, puliva, lavava, stirava mentre guardava un programma televisivo e poi un altro ancora; la sera preparava una bella cenetta e aspettava seduta sul divano il marito, il quale rientrava piuttosto tardi perché lavorava fuori città
Anastasia usciva poco di casa, solo per comprare verdure fresche da un fruttivendolo vicino, per la grande spesa il marito l'accompagnava al supermercato in macchina, una volta alla settimana. A comparsi i vestiti, la biancheria e altri articoli per la casa, andava sempre col marito in un centro commerciale vicino.
Non si sentiva infelice, la routine le dava sicurezza, le sue giornate erano scandite dai programmi televisivi, soprattutto le telenovelle erano quelle che maggiormente la allontanavano dalla realtà.
Appena morto il marito e perso l'appartamento si era trasferita dalla sorella, ma da subito aveva capito che non era ben accolta dal cognato, quindi dopo pochi mesi inventò la storia che una amica d'infanzia, la quale era rimasta vedova da poco, le aveva chiesto di andare a vivere con lei per farle compagnia. La sorella credette alle sue parole, anche perché Anastasia la chiamava una volta la settimana e le diceva che era contenta della nuova sistemazione. Fu allora che cominciò a passare la notte nel dormitorio popolare del comune, quello per i senza tetto. Ogni mattina doveva lasciare la brandina per poter rientrare di nuovo verso le sette di sera e dormire un'altra notte. Faceva la doccia nei bagni pubblici e passava la maggior parte del tempo all'aperto.
- Stare fuori è la cosa più bella della mia nuova vita, insieme al fatto di poter decidere da sola il da fare e dove andare. Disse Anastasia con soddisfazione.
Restarono qualche minuto in silenzio, poi domandò a Carla quale fosse il suo mestiere:
- Sono infermiera. Mi piace il mio lavoro in ospedale, ma ultimamente mi sento stremata. Volevo restare da sola questi giorni di festa, ma adesso che è partito mio marito mi sento smarrita, non riesco a reagire, rimango chiusa in casa e non faccio altro che rimuginare per tutto il giorno. Non so cosa mi succeda.
- La posso capire. Anch'io mi sentivo persa la prima volta che mi sono trovata da sola, ma questo non era niente in confronto a quello che ho sentito il primo giorno in cui ho dormito nel ricovero popolare. Ogni tanto mi ritorna lo sconforto, ma cerco di reagire pensando che tra qualche mese mi arriverà la pensione minima, che insieme alla piccola indennità, che adesso lo stato mi passa, potrò pagare una stanza in affitto.
- Spero che presto riesca ad avere un vero tetto, Anastasia. Che bel nome che ha, da dove viene? Le domandò  Carla.
Mentre la donna le raccontava che era stato suo padre a chiamarla in quel modo perché aveva letto la storia dello Zar di Russia, Nicola II, in Carla  nasceva un progetto bizzarro, che se fosse riuscito, sarebbe stato veramente geniale.
Dopo poco si salutarono e Carla si incamminò verso via San Giuseppe, ma a un certo punto, voltò a destra. Mentre i suoi piedi si muovevano non pensava più al mazzo di chiavi da far copiare, bensì alla donna che aveva incontrato prima. L'ansia in lei era sparita e  nella sua testa maturava l'idea di andare a parlare con la sua dirimpettaia, una simpatica signora anziana, che viveva da sola in un enorme appartamento e che qualche giorno prima le aveva detto che voleva affittare una camera a una persona fidata. 
Senza sapere nemmeno lei il perché aveva imbucato quelle strade del centro, invece di tornare a casa, cominciò a gironzolare per la città; quanto sentì fame mangiò un tramezzino e bevette un bicchiere di birra seduta in un tavolino di un caffè, mentre guardava la gente che passava.
- E' tanto che non passeggio da sola per la città, pensò.
Rientrando, la prima cosa che fece fu chiamare il marito, al quale raccontò l'incontro che aveva fatto quella mattina e nel congedarlo gli disse che lo amava e che non vedeva l'ora di riabbracciarlo, poi inviò un messaggino ai figli per invitarli a pranzo il giorno successivo; alla fine si sedette sul divano e sorrise soddisfatta di come era andata quella giornata.
La sera mise in ordine la casa, dopo cucinò con piacere dei ricchi piatti per i suoi figli e alla fine della serata si sedette a leggere un libro, ascoltando un disco di Charlie Parker.
Ogni tanto alzava la testa dal libro e pensava che era la prima volta si era sforzata a guardarsi dal di fuori, per capirsi.
Dopo cena Carla chiamò la vicina, ma dovette lasciarle un messaggio nella segreteria telefonica, perché, essendo questa piuttosto sorda, la sera alzava il volume del televisore, quindi non sentiva mai il suono del telefono o del campanello. Le lasciò detto che sarebbe andata a trovarla l'indomani verso le undici e che aveva una bella sorpresa per lei.
Il giorno dopo si svegliò presto e vedendo la bella giornata uscì di casa per andare a fare una passeggiata lungo il fiume. Mentre camminava guardava la gente, gli alberi e le case e per prima volta  si rese conto che la sua esistenza era ricca, non solo in benessere materiale ma anche in affetti, incontri, avvenimenti, progetti e lavoro.






mercoledì 6 gennaio 2016

El azar y la coliflor



Desde que hace frío dejamos la fruta y las hortalizas en el alfeizar de la ventana de la cocina. Pues en la nevera no cabe toda la verdura que suelo comprar los sábados en el mercado.
Aquel día amaneció soleado, sin embargo hacia mediodía unas nubes grises envolvieron y cubrieron los tibios rayos de sol invernal que tanto me gusta. Iba a salir para comprar el periódico y luego leer un libro sentada en una mesa de un establecimiento un poco destartalado que hay cerca del río. Tuve que cambiar de planes ya que el día empezaba a estropearse, di solo una vuelta por nuestro barrio y volví abrigada con una bufanda de lana suave y una boina roja.
Me entretuve un rato leyendo en el sofá los periódicos. Los domingos compro dos, el de siempre y otro que tiene una buena página cultural y que además desde hace un mes lleva consigo un pequeño libro de  relatos. Me encanta cada semana descubrir un nuevo  cuento o a un escritor desconocido. Aquel día leí un  relato breve de Joseph Roth: “Esta mañana ha llegado una carta”. Era la historia de un hombre solo a quien le cambiaba el rumbo de su vida, al recibir una carta.
Miré el reloj, aún era temprano para almorzar; me sobraba tiempo, quizás porque mi paseo había sido corto y mi marido aún no había llegado de su largo recorrido en bicicleta.
Cogiendo una mandarina del alfeizar, vi la coliflor, escondida entre acelgas, pimientos, cebollas y patatas.
- Voy a hacerla al horno con besamel, me dije.
Recordé la primera vez que había comido aquel manjar, era a finales de los años setenta. Nos había invitado a cenar un amigo pintor, quien llevaba una vida bastante descabellada. Vivía solo en una buhardilla pero cuando no tenía ni un duro  iba a comer a casa de sus padres. Su familia resultó ser muy simpática y amable, el hermano pequeño la mar de bromista, pero  a quien más aprecié aquella noche fue a la abuela. Ella era la cocinera, pero no quiso cenar con nosotros. Nos saludó al entrar y luego al despedirnos apareció otra vez en el pasillo, entonces vi que sus ojos emanaban amor y admiración hacia sus nietos. Su pelo blanco, su porte aristocrático y su bondad me infundieron ternura.
Mi marido volvió antes de lo previsto, ya que empezaba a lloviznar; como podéis imaginar la comida no estaba lista, pero por el olor fuerte  adivinó de que plato se trataba. Para qué mentirnos, después de hervir la coliflor tuve que abrir las ventanas y airear la casa, pero  no fue suficiente pues  aquel olor, casi desagradable,  se quedó flotando por el aire.
Preparé una ensalada rápida, después de comer nos recreamos leyendo en el sofá, a media tarde salimos a pasear hasta que empezó a llover de nuevo y nos metimos en un cine de barrio.
Por la noche puse la mesa con un mantel amarillo y por fin probamos la coliflor gratinada. Mientras comíamos, tomando una copa de vino tinto, pensé de nuevo en abuela cocinera,  la que me hizo probar  aquel plato y caí en la cuenta de que se parecía mucho a la señora Frida, nuestra vecina. Nunca había pensado en ello.
- Quizás a la señora Frida, le guste mi coliflor.
Al día siguiente fui a su casa con una fiambrera llena de coliflor gratinada.  Se puso contenta de verme y me agradeció, por la visita inesperada y por la comida que le había traído, dicéndome: 
- Ese plato nos encantaba a mí y a mi marido. El sabía quitar el olor fuerte de la hortaliza. Le añadía un poco de comino en el agua de cocción. Y me decía contento: ¿A qué sí, que huele poco?
Luego, mientras apagaba el hornillo donde había una olla humeante, contó que su marido era carpintero y que cuando se jubiló empezó a dar largos paseos por el campo. Tomaba un autobús a las nueve de la mañana y se iba hacia las afueras de la ciudad. Volvía de sus caminatas llevando consigo ramilletes de hierbas. Cuando hacía mal tiempo iba por los mercados a buscar hierbas medicinales. Luego siguió diciéndome con cara de pícara:
- Yo también tenía remedios para evitar el olor fuerte: ponía una miga de pan mojada en la leche en el agua de la cocción y también un chorrito de vinagre. Incluso a veces ponía una rodaja de limón encima de la olla, sin embargo él no sabía nada de mis trucos y siempre yo le iba repitiendo que su comino era milagroso.
Eramos vecinas desde hacía  más de veinte años. Al principio nos conociamos poco, nos saludábamos por la calle, sabía solamente que era la  modista y que hacía arreglos para todo el vecindario. Era discreta y de pocas palabras, pero cuando iba con su perrito  negro por la calle, era muy cariñosa. Lo mimaba como a un hijo sin embargo era firme y le exigía obediencia.
Hasta que un día le envié una carta con un breve relato que narraba la historia de su máquina de coser, está claro con mucha fantasía.
- Es la primera vez que alguien se fija en mí, que escribe algo sobre mi vida, me dijo  abrazándome y besándome en medio de la calle.
Desde entonces  la señora Frida, si pasamos muchos días sin vernos por la calle, me llama por teléfono; yo cuando puedo le toco el timbre para saber si todo anda bien.
El  día en que le llevé la coliflor  no me demoré mucho porque el reloj de  su cocina marcaba las doce y media. Recuerdo que el mantel de cuadros rojizos que cubría su mesa, puesta para un solo comensal, me infundió una gran ternura.