lunedì 18 novembre 2013

La tovaglia di color ambra















Erano seduti intorno al tavolo di cucina mentre facevano colazione, quando le campane della chiesa di San Silvestro iniziarono a suonare le sette.
Il tavolo rettangolare, illuminato da un fascio di luce proveniente da una lampada posta in alto, si trovava in mezzo alla grande stanza, la quale di giorno era molto luminosa per le quattro finestre che aveva, ma che a quell'ora del mattino era avvolta da una tenue penombra;  Alice aveva apparecchiato il tavolo con una tovaglia di color ambra e dei tovaglioli rossi; aveva preso le tazze buone, quelle di porcellana bianca; la teiera, che aveva il coperchio decorato da fiorellini viola, appartenuto a chi sa quale vecchio servizio, era invece quella di tutti giorni. Al centro del tavolo campeggiava la grande caffettiera e l'aroma del caffè cominciava lentamente a impregnare l'aria della stanza.  Alice aveva iniziato un discorso sulla bella giornata che le pareva stesse nascendo, mentre spalmava la marmellata di more su una fetta di pane, ma né marito né figli la stavano ad ascoltare.
Era un giorno molto importante per tutti, la figlia quello stesso pomeriggio doveva discutere la sua tesi di laurea, il figlio doveva sostenere un esame di ammissione a un corso post-diploma, il marito era stato convocato dal suo principale e temeva il peggio, dopo l'inizio di quella maledetta crisi economica che aveva colpito anche l'azienda dove lavorava e infine Alice sorseggiava il tè pensando che avrebbe dovuto dire loro quella cosa, ma sapeva che era meglio lasciar perdere fino a quando non avessero preso il caffè.
Tutti avevano fatto colazione distratti e in fretta, forse per colpa dei pensieri e timori che non smettevano di ronzargli intorno; Ali, così veniva chiamata in famiglia, si sentiva come se fosse il perno di quella giostra, sempre con l'intento di afferrare qualcosa o qualcuno, ma spesso senza riuscirci. Dopo aver lasciato le tazze nell'acquaio ognuno era andato in camera a preparasi. Il primo ad uscire di casa era stato il ragazzo perché doveva prendere un treno per Pisa.
Il tavolo era già sparecchiato, Ali era rimasta qualche minuto seduta da sola a leggere le ultime righe di un articolo del giornale che parlava della vita stressata delle casalinghe, mentre le sue mani avvolgevano, come se volesse riscaldarsi, la tazza di tè, quando improvvisamente suonò il campanello.
- Chi sarà a quest'ora, pensarono tutti.
Il marito, rispondendo al citofono, aveva subito riconosciuto la voce allarmata del figlio, che gli aveva detto:
- C'è un lenzuolo bianco in mezzo alla strada, qualcuno si è buttato giù dalla finestra. 
Dopo quella notizia, tutte le angosce e timori di ognuno si erano paralizzati e svaniti rapidamente. Subito, i tre, chi con una giacca, chi con uno scialle e chi con un giubbotto, presi al volo dall'attaccapanni dell'entrata, si erano precipitati giù per le scale senza rendersi conto che avevano ancora le pantofole. Il lenzuolo bianco copriva il corpo di un giovane ragazzo che abitava nel caseggiato di fronte, questo era il poco che erano riusciti a sapere dalle persone che sostavano intorno all'auto della polizia; Non poteva essere Ugo, l'unico ragazzo giovane che abitava nel palazzo, pensarono tutti.
- Speriamo che sia una persona di passaggio, forse un affittuario della signora napoletana, che quando non le bastava la pensione dava in affitto la camera del figlio, emigrato in Canada, aveva detto Alice, ma subito se n'era pentita, perché aveva pensato che anche se fosse stato uno sconosciuto era sempre pur terribile quella morte.
Era completamente sparita dalla sua mente la cosa importante che quella mattina voleva dire al marito e ai figli, non ci pensava più ad andare via, per un po' dalla città. Era da qualche mese che sentiva il desiderio di fuggire; le mattine in cui non aveva impegni non riusciva ad alzarsi; lei che era stata una donna che, dall'alba al tramonto aveva avuto sempre energia da regalare. In apparenza non c'era motivo per tutta quella melanconia e mancanza di fiducia.
- Sarà la menopausa che mi fa brutti scherzi? Si chiedeva.
Voleva molto bene a marito e figli, ma sentiva un impulso a voler fare qualcosa realmente sua, come per esempio seguire un seminario o un corso di lingua in una università straniera. Forse non aveva mai fatto niente veramente da sola, negli anni dell'università aveva condiviso oltre che l'appartamento, viaggi, svaghi e interessi con altre studentesse, ma ben presto era andata a convivere col suo attuale marito, per questo sentiva la necessità di stare un po' in solitudine. Ma in quel momento in piedi in mezzo della strada desiderava solamente che sotto il lenzuolo bianco non ci fosse Ugo, quel amabile ragazzo che ogni tanto si fermava in strada a parlare con lei.
La vita di Ugo era stata come quella di tanti giovani: nato in una famiglia normale, da genitori che lavoravano sodo, ma che non avevano mai trascurato i figli; aveva seguito degli studi umanistici e dopo laureato, non trovando lavoro in Italia, aveva viaggiato e lavoricchiato in alcuni paesi europei. Ma da quando era tornato dalla Germania qualcosa era cambiato in lui, era più triste e silenzioso. Salutava i vicini senza guardarli e non si fermava più a chiacchierare con loro come prima.
- No, non poteva essere lui, quel bel ragazzo intelligente e gentile, continuava a dire Alice al marito.
Dopo un po' erano risaliti in casa per vestirsi e indossare le scarpe adatte; quando uscirono di nuovo incontrarono il padre e la sorella di Ugo di fronte all'edificio dove era avvenuta la disgrazia.
Guardando i loro volti capirono che sotto il lenzuolo bianco c'era Ugo. In silenzio si avvicinarono a quelle due persone sconvolte dal dolore e le abbracciarono, poi attraverso poche parole vennero a sapere che la causa del suicidio era stata la depressione, che forse si era scatenata dal suo sentirsi diverso.
Diversità, inadeguatezza, incomprensione, infelicità erano le sensazioni che quella mattina Alice aveva percepito, ma che lentamente stavano mutando in fiduccia, forza, azione, futuro.
La mattina dopo, mentre apparecchiava il tavolo per la collazione con la tovaglia di color ambra, fece sapere a marito e figli che si era appena iscritta a un corso estivo di letteratura spagnola a Santander e che ne era proprio fiera.


martedì 5 novembre 2013

Pasta allla lattuga













ingredienti per sei persone
una cipolla bianca
una lattuga
un cucchiaio di farina
mezzo bicchiere di brodo vegetale
olio di oliva
600g di pasta ( tagliatelle, spaghetti o pasta corta)




- mettere sul fuoco in una padella qualche cucchiaio di olio e una piccola cipolla bianca affettata (e ovviamente anche la pentola per l'acqua della pasta)
- dopo qualche minuto aggiungere una lattuga tagliata a striscioline sottili e lasciarla cuocere
- nel frattempo scaldare un mezzo bicchiere di brodo vegetale e usarlo per sciogliere un cucchiaio di maizena (o farina, come ho fatto io che non avevo la maizena)
- aggiungere il brodo alla lattuga e lasciare cuocere qualche altro minuto, fino a quando il sugo non raggiunge la giusta consistenza.
- versare nella padella la pasta che nel frattempo abbiamo cotto al dente e farla insaporire
- da ultimo una bella macinata di pepe e un rametto di basilico
e buon appetito!
(Ricetta di Anna)

venerdì 1 novembre 2013

Il sapore salato della scelta












Alcune mattine fredde quando andavo a lavorare in bicicletta, mi cadevano lungo il viso delle  lacrime.
- Sarà il freddo? mi domandavo.
Un giorno soleggiato di gennaio il sapore salato dei due rigagnoli che scendevano dalle mie guance fino ad sfociare nella bocca, portò i miei pensieri verso il paese della costa catalana dove ero nata.
Era un giorno di fine di agosto di 1977, mi trovavo seduta nella parte interna e più ombrosa della terrazza che dava sul giardino della vecchia casa di famiglia. C'era un grande silenzio perché tutti dormivano la siesta. Mi vedevo mentre scrivevo una lettera a U., il mio innamorato. Ero triste e le mie lacrime bagnavano la carta velina come quelle prime gocce indecise che cadono quando si avvicina un temporale. Le parole che scrivevo con la penna stilografica, si scioglievano e diventavano sempre più sfocate.
Ricordavo il sapore salato di quella scelta dolorosa che dovevo fare in quei giorni:
Andare a Firenze a vivere con U., che pochi mesi prima avevo incontrato, trasferendomi quindi all'Università di Firenze o rimanere a studiare a Barcellona come volevano i miei.
Verso le quattro, quando il paese cominciava a svegliarsi, sentii lo scampanellio della bicicletta di Anita la llevadora1.
Mia madre andò ad aprire la porta, come tutti giorni, perché riconosceva quel famigliare tintinnio. La llevadora arrivava puntuale a farle la solita puntura.
Entrambe si sedettero poi in giardino a prendere un caffè. Dopo poco mia madre si mise a piangere, perché temeva che io andasse a vivere in Italia da lì a poco.
Anita fu molto dolce con lei, per consolarla le disse, riferendosi a me, che nella vita bisognava fare la scelta che sentivamo più giusta per noi, anche se era dolorosa per gli altri e così facendo le raccontò che anche lei aveva dovuto prendere una decisione. Da quel balcone ascoltai incuriosita la storia di Anita e ne rimasi affascinata.
Sapevo che Anita era nata all'inizio del secolo nelle terre catalane, ma prima che scoppiasse la guerra civil2 era andata a lavorare come levatrice in un paesino andaluso della Sierra Morena. In Andalusia aveva sposato Anselmo ed erano stati felici fino alla morte prematura del loro primo figlio. Dopo alcuni mesi avevano chiamato Anselmo al fronte ed era sola quando erano spuntati i piedi del suo secondo figlio, ma subito era sfiorito. Lei per sopravvivere aveva cercato di convivere con la nascita dei figli altrui e la morte dei suoi. Ma dopo il suo racconto capii che non sempre ci era riuscita e la notte il dolore la attanagliava.
Ricordo che raccontò, quasi in forma maniacale, i momenti della sua travagliata scelta e quindi della sua partenza:
Era già sera quando Anita la llevadora arrivò alla stazione del piccolo paese della costa catalana. Sembrava una peonza3, perché mentre camminava veloce girava la testa insieme al suo corpo tondo, tondo, in cerca di Anselmo.
 -Quale era il motivo di tutta quella fretta? Si domandò. Prima pensò che la sua sveltezza fosse dovuta all'emozione mescolata al timore e all'impazienza di sbarcare nella sua amata Catalogna.
Si fermò all'improvviso e capii che correva per non tornare indietro nella scelta che aveva dovuto fare qualche giorno prima. Mentre guardava la profonda bellezza dei monti della Sierra Morena, tra le lacrime, aveva deciso di partire, lasciando per sempre il piccolo camposanto sotto gli ulivi. Voleva ricominciare una nuova vita nella terra in cui era nata.
Anselmo era rimasto indietro perché diversamente da lei si muoveva lentamente, non solo per il pesante bagaglio ma per il suo carattere un po' flemmatico e parsimonioso.
Anita era salita su una panchina della piazza vicino alla stazione, per vedere tra la gente, ma non scorgeva né lui né le grandi valigie. Su quella torre di avvistamento cominciò ad avere i primi dubbi:
- Avrò fatto bene ad accettare il posto di levatrice in questo tanto sognato nido  lontano?
- Avrei dovuto restare nell'Andalusia, dove Anselmo avrebbe voluto vivere insieme a me e  dove sono sepolti i nostri figli?
- Forse nella mia terra potrò essere di nuovo felice pensò dopo, per farsi forza.  Ma Anselmo si sarebbe trovato bene in quei lidi?
Per un attimo trattenne il respirò e senza rendersi conto le scappò un gemito.
Rimase immobile guardando il mare solcato da alcuni goffi pescherecci che rientravano stanchi al porticciolo.
Il sapore di sale delle sue lacrime le ricordò i versi di una poesia di Antonio Machado che amava molto:
todo pasa y todo queda
pero lo nuestro es pasar,
pasar haciendo caminos,
caminos sobre la mar4
I suoi dubbi furono placati da quella strofa e dalla tenue brezza di mare che accarezzava la sua nuca.
Subito tornò in lei il buon umore.
Dopo poco tempo, che ad Anita era parso un'eternità, tra la gente, intravide Anselmo. Era buffo, con quel bagaglio ingombrante, sembrava una bilancia a due braccia che si muoveva, su e giù, su e giù, senza riuscire a trovare mai l'equilibrio. In quelle valigie era contenuta la loro storia, i momenti felici pesavano appena un po' di più di quelli infelici, voleva così pensare Anita vedendo quella bascula umana.
Corse ad aiutare quel povero uomo rinsecchito, carico come un mulo, che pur di accontentarla, dalla mattina alla sera aveva lasciato la sua barberia5 e cavalcato insieme a lei sul primo treno verso il nord, quello che partiva all'alba.
Passò un carro e si fermò vicino a loro. L'uomo che lo conduceva gli diede un passaggio e caricò sopra le loro pesanti valige.
Il cavallo che tirava il carro non era più giovane, ma era molto vitale, come l'uomo che lo guidava e che risultò essere Don Ramòn Aubanell Fontrodona, un vecchio amico del defunto patrigno di Anita. Era così felice Don Ramòn di quellincontro, che li invitò a cena per far loro incontrare sua moglie e Marcel, suo figlio piccolo.
Dopo aver mangiato, Marcel Aubanell Garriga, che era diventato un bel giovanotto, cantò per loro delle canzoni popolari catalane. Sentendo quelle melodie, Anita fece un leggero movimento con la lingua e leccandosi le labbra sentii di nuovo i sapore salato delle lacrime, ma capì che quel senso di dubbio, che aveva prima esperimentato, era svanito del tutto ed adesso era diventato la sua certezza.
Anita era contenta della sua scelta e uscendo dalla casa di Don Ramòn abbracciò Anselmo e si incamminarono piano piano verso la loro nuova dimora.
Mentre scendevo dalla terrazza avevo già deciso che sarei partita, nonostante il dolore che causavo alla mia famiglia. Ricordo che a metà pomeriggio uscii di casa per comprarmi una grande valigia, nella quale avrei messo i miei vestiti, i mie libri e la carta velina per scrivere ogni settimana una lettera a mia madre.
In quel giorno soleggiato di gennaio tra una pedalata e l'altra, sentendo il sapore salato delle lacrime, ho pensato che ero proprio felice della scelta che avevo fatto tanti anni prima.
1La levatrice
2Guerra civile
3trottola
4Tutto passa e tutto resta, ma questo nostro è un passar,   passar facendo strada come le navi sul mare.
5Negozio dei barbieri