mercoledì 27 giugno 2012

Il notaio e il sogno - el notario y el sueño












Quel giorno  alle sei in punto del pomeriggio siamo andati dal notaio per firmare il contratto.
Avevamo comprato un vecchio locale a pochi metri da casa nostra. Il signor Tinelli aveva rilegato libri in quella bottega durante molti anni. Ogni mattina mi salutava con un sorriso mentre alzava il rumoroso bandone di ferro. Nella parte anteriore c'era un lungo tavolo rettangolare, sul quale spiccavano, tra dozzine di pile di carta stampata e cartelle colorate, una pressa e una macchina per tagliare la carta. Nel retrobottega aveva una specie di salottino, dove leggeva.
Il signor Tinelli era molto fiero del suo piccolo locale. Quando l'anno scorso gli dissi che volevamo comprare un fondo per mettere le biciclette e per usarlo come ripostiglio, mi rispose che come il suo non ce n’era un altro in tutta Firenze. Lodava il suo ambiente artigianale, perché oltre che al bagno c'era un ampio cortile, che permetteva alla luce di entrare. Era contento di aver affittato da giovane quel locale, dove aveva trascorso gran parte della sua vita rilegando libri.
I mesi passavano e noi non riuscivamo a trovare nessun posto adatto da comprare: alcuni fondi erano troppo piccoli, altri erano in pessimo stato e quelli ce erano più grandi e belli erano troppo cari per noi.
Un giorno ho visto il rilegatore a braccetto con sua moglie. Sembrava molto debole e mi ha detto che aveva avuto una brutta influenza.
Dopo poche settimane, vedendo che il laboratorio del Signor Tinelli era sempre chiuso, ho chiesto di lui e mi hanno detto che era morto.
 -  Ancora era giovane per morire, non aveva più di settant’anni, pensai.
 -  Povero rilegatore! Disse U. quando gliel’ho raccontato.
La moglie e la figlia vuotarono il locale e lo lasciarono, perché per loro era troppo doloroso conservare quel posto, che era diventato triste e senza vita. Il Signor Tinelli con la porta sempre aperta, per fare entrare clienti, amici e ragazzi del quartiere, lo teneva vivo. I proprietari, un'anziana vedova e due figli, decisero di venderlo.
A causa della crisi economica il cartello che annunciava la vendita rimase appeso per molti mesi, fino a che un giorno mi accorsi che un'agenzia immobiliare vendeva il fondo a un prezzo molto più basso di quello che ci aveva chiesto uno dei padroni.
L'offerta fatta all'agenzia fu subito accettata dai proprietari perché erano stanchi di aspettare.
Il pomeriggio in cui siamo andati a firmare il contratto era piovoso e siamo entrati nello studio del notaio bagnati fradici. La segretaria era molto gentile e ci ha accompagnati in una bella sala d'attesa, dove i padroni del locale e i responsabili dell'agenzia immobiliare erano già seduti. Dopo poco ci hanno chiamato per eseguire l'atto notarile.
Il Notaio, era un uomo distinto, che aveva circa cinquant’anni. Si vedeva che faceva il proprio lavoro con passione, perché ci raccontò minuziosamente l'atto ufficiale che stavamo firmando. Non avevo mai visto un Notaio così comunicativo. Era una persona un po' bizzarra, si capiva dall'arredamento del suo studio, che era tappezzato da immagini di civette: statuine, quadri, cornici, tagliacarte, portamatite, timbri, ecc. Ci disse che era un fervoroso sostenitore della contrada della civetta di Siena, dove aveva trascorso la sua giovinezza.
Mentre aspettavamo la registrazione dell'atto, abbiamo cominciato a parlare della bottega del rilegatore e abbiamo finito il discorso parlando degli ospedali della mia terra, dato che il Notaio aveva un figlio che studiava psichiatria in Catalogna.
Alla fine ci siamo salutati scambiandoci i nostri indirizzi di posta elettronica.
Quella stessa notte ho dormito molto bene, ma alle cinque in punto del mattino mi sono svegliata.
La mia testa era piena di emozioni: atti notarili, firme, pile di libri rilegati, assegni bancari e tante civette.
Sono andata in cucina e ho guardato dalla finestra, ancora non era uscito il sole e ho pensato che il signor Tinelli non avrebbe più rilegato libri, ma che noi avremmo ben custodito insieme alla bottega il ricordo del suo antico mestiere.
Questo pensiero mi ha rilassato e sono tornata al letto.
Ho sognato di essere nel mio paese natale della costa catalana. Era sera e stavo telefonando alla mia amica Inès. Avevo molta voglia di vederla. Ho fatto con lei le scuole superiori e durante i primi anni universitari ci siamo frequentate molto. Era più di trenta anni che ci scrivievamo, forse era più esatto dire che io le scrivevo, lei con tutte le sue occupazione mi avrà scritto una decina di lettere in tutta la sua vita, ma mi telefonava spesso.
La mia amica viveva vicino a Barcelona, era molto attiva, aveva energia per fare un sacco di cose: girava in macchina per tutta la Spagna per lavoro, andò fino a Mosca per adottare due bambini che erano così vivaci da sfiancare qualsiasi persona dopo una giornata trascorsa con loro, superò con grande coraggio una grave malattia, allevò due cagne molto giocherellone che le distrussero i mobili della sua bella casa, si occupava dei suoi anziani genitori e di una zia vecchia e naturalmente amava molto suo marito.
Avevo avuto fortuna, Inés era in paese, perché era andata a trovare i suoi genitori, come di solito faceva tutti i mercoledì, per questo ho pensato che quel giorno era mercoledì.
Ci siamo date un appuntamento vicino all'antico cimitero, che si trova dietro la chiesa del paese.
Arrivò puntuale e mi chiese il perché di quel luogo:
-  È un posto molto solitario, qui possiamo passeggiare e parlare tranquillamente, le dissi.
- Toppo deserto, andiamo lungo la strada che porta alla cappella del convento delle carmelitane, aggiunse lei.
Abbiamo camminato lentamente, seguendo la ripida strada, verso la parte alta del paese, che sembrava viva come un villaggio in festa. Si vedevano, nonostante la tarda ora della notte, tutte piccole finestre illuminate.
Inés era felice perché non si sentiva più smarrita.
Abbiamo visto che la torre del convento era caduta. Ai lati della strada c'era uno strato di terra bianca che sembrava neve.
Ci siamo accorti che quella polvere bianca non era altro che calce e macerie degli edifici bombardati.
Ho preso un pezzettino di specchio che luccicava tra montagne di rovine. Noi due amiche ci siamo viste riflesse circondate dagli orrori della guerra: scoppi, spari, crolli, urla, sangue, fumo, polvere, ma soprattutto tanta paura.
Sono arrivati due camion con molti giovani soldati, che ci chiedevano da bere e da mangiare. Alcuni avevano ancora la forza di ringraziarci facendoci dei complimenti. Uno di loro fischiava una melodia che sembrava una habanera1 triste .
Una donna è scesa da un carro e mi ha messo un neonato tra le braccia. Di corsa ci siamo rifugiati in una cantina, il piccolo non smetteva di piangere, perché aveva fame. Io volevo avvicinarlo al mio seno ma non riuscivo a trovarlo. Inès mi ha preso il bambino e lo ha attaccato al suo petto gonfio di latte.
Dopo poco Inés e il bambino si sono addormentati. Ho sentito un gran benessere guardando la mia amica con il neonato tra le braccia. La sua immagine mi riempiva di speranza, nonostante le lotte e i tumulti che c'erano per le strade.
Mentre provavo quelle belle sensazioni, ho sentito suonare la sveglia di U., che quella mattina doveva alzarsi presto perchè i muratori dovevano sistemare un vecchio pozzetto nel cortile del rilegattore. Erano le sette in punto del mattino.
Ero contenta di essermi svegliata presto, perché prima di andare al lavoro potevo prepararmi un bella colazione, trascrivere quanto avevo sognato e soprattutto finire di rileggere  l'ultimo capitulo di La plaça del diamant, l'ultimo che mi aveva rilegato il Signor Tinelli.

1 è un tipo de canzone di ritmo lento che ebbe origine a Cuba alla fine del secolo XIX




El notario y el sueño

Ese dia a las seis en punto de la tarde fuimos a la notaría para firmar unas escrituras.
Habíamos comprado un viejo local artesanal a pocos metros de distancia de nuestra casa.
El Signor Tinelli había encuadernado libros en aquel taller durante muchos años. Cada mañana me saludaba contento mientras abría la ruidosa puerta de hierro. En la parte anterior había una mesa rectangular muy larga, sobre la cual sobresalían, entre decenas de pilas de hojas imprimidas y cartones de bonitos colores, una prensa y una máquina para cortar papel. En la trastienda tenía una especie de cuarto de estar, donde leía.
El signor Tinelli estaba muy orgulloso de su pequeño laboratorio. Hace un par de años cuando le dije que queríamos comprar un local para poner las bicicletas y para usarlo como trastero, me dijo que como el suyo no había ninguno en toda Firenze. Alabó su taller porque además de poseer un cuarto del baño, tenía un patio muy amplio que daba mucha luz. Estaba contento de haber alquilado, desde que era muy jovencito, ese lugar donde había pasado toda su vida encuadrenando libros.
Pasaron los meses y no dimos con ningún local, algunos eran demasiado pequeños, otros eran destartalados y estaban en malas condiciones y los grandes y bonitos eran demasiado caros para nosotros.
Un día vi al encuaderndor de bracete con su mujer, parecía muy débil, me dijo que había pasado una gripe muy fuerte. Al cabo de unas semanas, notando que el taller del Signor Tinelli siempre estaba cerrado, pregunté por él y me dijeron que había muerto.
 - Era joven aún para morirse, no tenía más de seteinta años, pensé.
 - Pobre encuadernador! dijo U., cuando se lo contè.
Su hija de unos cuarenta años y su mujer todavía joven, vaciaron el taller y dejaron de pagar el alquiler, porque era demasiado doloroso para ellas conservar aquel lugar, que había quedado abandonado y sin vida. El Signor Tinelli dejando la puerta abierta, para que entrara la gente y los chiquillos del barrio, lo tenía siempre vivo. Los dueños del local decidieron venderlo entre particulares. A causa de la crisis económica el cartel se quedó colgado muchos meses, hasta que un día  vi un anuncio nuevo; una agencia inmobiliar lo ponía en venta, a un precio mucho más bajo con respecto al que nos había pedido al principio uno de los dueños. Los tres propietarios, dos hermanos de unos sesenta años y la  madre viuda, aceptaron en seguida nuestra oferta, pues estaban cansados de esperar.
La tarde que fuimos a firmar las escrituras era lluviosa y entramos en la notaría chorreando de agua. La secretaria fue muy amable con nosotros y nos acompañó a la sala de espera, donde había un grupo de personas, los dueños del taller y los gestores de la agencia inmobiliar, simpáticas y cordiales. Al cabo de poco tiempo nos llamaron para empezar el acta notarial.
El Notario tenía unos cincuenta años y se notaba que le gustaba su trabajo, pues nos contó detenidamente el acta oficial que estabamos firmando. Nunca había conocido a un Notario tan comunicativo. Era un hombre especial, pues tenía todo el despacho tapizado de buhos: estatuillas, cuadros, marcos, lápices, plumas, sellos etc. Nos dijo que era un fervoroso aficionado de la contrada della civetta 1 de Siena , donde había pasado toda su juventud.
Mientras esperábamos el registro de las escrituras,empezamos hablando del taller del encuadernador y acabamos alabando los hospitales de mi tierra, pues el Notario tenía un hijo que estudiaba psiquiatría en Cataluña.
Al final nos despedimos intercambiándonos nuestro correo electrónico.
Esa noche dormí muy bien, sin embargo a las cinco en punto de la madrugada me desperté.
Mi cabeza estaba llena de emociones: escrituras, firmas, cheques, buhos. Fui a la cocina y miré por la ventana. Aún no había salido el sol y pensé en que el signor Tinelli, ya no habría encuadernado más libros, pero que nosotros habríamos custodiado, junto a su taller, el recuerdo de su antiguo oficio.
Este pensamiento me relajó y volví a la cama.
Soñé y soñé que estaba en el pueblo de la costa catalana donde nací, era de noche y estaba llamando a mi amiga Inés. Tenía muchas ganas de verla. Estudié con ella el Bachillerato y durante los años universitarios salíamos juntas muy a menudo. Hacía más de treinta años que nos carteábamos, mejor dicho yo le escribía, ella con todos sus ocupaciones, no tenía mucho tiempo para hacerlo, pero siempre me telefoneaba. Mi amiga vivía cerca de Barcelona, era muy activa, le sobraba energía para hacer   miles de cosas: daba vueltas por la península en coche trabajando, a raíz de su deseo de adoptar un hijo, fue a Moscú a buscar a dos niños tan vivarachos, que  mataban  de cansancio, superó con gran valor una grave enfermedad, crió a dos perras muy juguetonas que le destrozaron  los muebles de su  casa, se ocupaba de tres viejecitos de su familia y naturalmente amaba mucho a su  marido, un hombre muy pausado.
Había tenido suerte, encontré a Inés en el pueblo, ya que había ido a visitar a sus  padres, ya viejecitos, como hacía cada miércoles, de allí deduje que era miércoles.
Le di una cita cerca del antiguo cementerio, que estaba detrás de la la iglesia del pueblo.
Llegó puntual y me preguntó el porqué de aquel lugar.
- Es un sitio solitario, aquí podremos pasear hablando tranquilamente, le dije.
- Demasiado desierto, vayamos por la cuesta hasta la capilla del convento de las carmelitas, añadió ella.
Andamos muy despacio siguiendo un trecho empinado, hacia la parte alta del pueblo, que parecía vivo como una aldea de fiesta, pues a pesar de las altas horas de la noche, las ventanas pequeñas de las casas se estaban iluminado. 
Inés estaba contenta, pues ya no se sentía tan desemparada.
Vimos que el convento estaba derrumbado. A los lados de la calle había una capa de tierra blanca que parecía nieve.
Nos dimos cuenta de que aquel estrato blanco estaba formado por cal y ruinas de los edificios que habían sido bombardeados.
Cogí un trocito de espejo que brillaba entre los montones de desperdicios. Las dos nos  vimos reflejadas y a nuestro alrededor descubrimos los  horrores de la guerra: estallidos, humo, bombas, sangre,  polvo y sobre todo tanto miedo.
Llegaban camiones con muchos soldados jóvenes, quienes nos pedían de comer y de beber.
Algunos tenían la fuerza para echarnos piropos. Uno de ellos silbaba una habanera triste. 
Bajó una mujer de un carro y puso en mis brazos un recien nacido.
Nos refugiamos en una taberna, el pequeño seguía llorando, porque tenía hambre. Yo quise darle de mamar, pero no lograba encontrar mis penzones. Inés me cogió el bebé y se lo puso en  su pecho, hinchado de leche.
Al cabo de poco Inés y el niño se durmieron plácidamente. Sentí un gran bienestar mirando a Inés dormida con el recién nacido en sus brazos. Su imagen me llenaba de esperanza, a pesar de las luchas y de la violencia que habíamos visto por las calles.
Mientras estaba saboreando el placer de aquel momento,  oí el despertador de U., quien aquella mañana tenía que levantarse temprano para que los albañiles pudieran arreglar las alcantarillas del patio del  encuadernador. Eran las siete en punto de la mañana.
Estaba contenta  por haber madrugado, porque antes de ir a trabajar tendría tiempo para  prepararme  un buen desayuno, para tomar apuntes de aquel sueño tan raro  y sobre todo para terminar de leer el último capítulo de la plaça del diamant,  uno de los últimos libros  que me había encuadernado el signor Tinelli.


1 El barrio del Buho es uno de los muchos sectores en los que se divide la ciudad de Siena para jugar al Palio, juego medieval que consiste en una carrera de caballos alrededor de la  plaza del campo.

Nessun commento:

Posta un commento