martedì 20 marzo 2012

Voglio un abbraccio




La domenica mattina la mia testa sempre è un covo di pensieri positivi e di belle emozioni. Quella mattina fredda d'inizio febbraio era domenica.
Ho aperto gli occhi, ho visto una luce tenue che entrava dalla persiana della finestra e ho osservato che U. era sveglio. Cosa non comune in lui, che dorme fin che può. Forse non aveva più sonno perché era stato tre giorni di fila al letto con la febbre alta e non aveva fatto altro che dormire.
Di quei giorni in cui U. era malato ricordavo con tenerezza, una notte gelida in cui il suo caldo corpo mi riscaldava come una stufa di maiolica
Appena ho visto i suoi occhi brillare gli ho chiesto, come stava e cosa stava pensando. Mi guardava come se si fosse svegliato da un letargo. Volevo sapere se era tornato al mondo. Dopo qualche secondo lui mi ha risposto:
- Sto molto meglio, adesso stavo rimuginando.
- Mi piacerebbe che tu mi facessi partecipe dei tuoi pensieri, gli ho detto.
Non mi ha risposto e per un po' è rimasto in silenzio.
Sembrava che stesse per riaddormentarsi, quindi gli ho detto che forse sarebbe stata una buona idea se mi fossi alzata per preparare la colazione, altrimenti lo avrei punzecchiato con altre domande.
- Le tue domande mi riportano alla vita, mi ha detto.
- Sono contenta di poter entrare nella tua anima, ho risposto.
Gli ho chiesto tante cose : del suo lavoro, dei suoi progetti, delle sue paure e delle sue allegrie. Mi piaceva tanto sentire la sua voce.
Lui ha parlato a lungo di se ed io ne ero molto felice. A un certo punto gli ho sussurrato che avevo letto da qualche parte che una ragazza di una città del nord Europa spesso si fermava vicino all'entrata della metropolitana con un cartello che diceva:
Si offrono abbracci gratis
Raccontava la ragazza che era molto felice di poter abbracciare le persone sia conosciute che sconosciute. Alcuni passavano e non si fermavano perché non credevano a quello che annunciava il cartello o semplicemente si vergognavano, altri aprivano le braccia e rimanevano incantati con quel dono.
- E' una cosa molto bella, non ci avevo mai pensato, ha detto U.
- A volte basta poco per fare felice una persona. Mi piacerebbe che adesso tu mi abbracciassi.
Siamo rimasti stretti stretti parlando a sotto voce, fino a che lui improvvisamente si è alzato e mi ha portato un  suc de taronge1.
Si era ricordato che la sera prima gli avevo detto che mia madre quando ero piccola e mi ammalavo mi portava quella bevanda al letto e io gliene ero molto grata perché mi faceva sentire coccolata. Lei non aveva l'abitudine di accarezzare i piccoli, quindi quel succo d'arancia era sempre stato per me come un grande abbraccio.
Mia madre aveva avuto una  grave malattia polmonare e quindi non voleva mai baciare nessuno, nemmeno i propri figli. La vecchia llevadora2 , quando veniva a casa nostra a trovarci, le diceva che gli abbracci facevano tanto bene, che curavano più delle medicine, ma mia madre non l' ascoltava, per la paura che aveva di contagiarci.
Mentre bevevo a piccoli sorsi il succo d'arancia e ricordavo piano piano le carezze che quella bevanda mi aveva procurato da piccola, ho sentito che le braccia di U. mi avvolgevano e mi dicevano:

 - Anch'io voglio un abbraccio.
1 Succo di arancia
2 levatrice

















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