lunedì 12 marzo 2012

I legnetti colorati










L'altro giorno, mentre tornavo a casa dalla scuola dove  lavoro, ho perso un pedale delle bicicletta. Mi sono fermata per cercare il bullone che era caduto, ma essendo sparito sotto una macchina, sono dovuta tornare a casa con un pedale solo.
Dovevo essere molto buffa agli occhi dei passanti, mentre mi spingevo facendo una mezza pedalata con un solo piede.In una stradina, dove di solito non passo, ho visto un negozio artigianale di minuscoli articoli di legno, ho guardato la vetrina piena di piccoli oggetti colorati: composizioni mobili, orologi a pendolo, giocattoli, ecc. 
Mi sono guardata riflessa sul vetro della porta e mi è parso di vedere che alcuni piccoli tasselli di legno colorato della vetrina si arrampicavano lungo il mio corpo, oscillando verso la testa. Ho avuto la sensazione che ogni pezzettino di legno che si stava muovendo rappresentasse una delle tante cose che volevo fare quel pomeriggio. Alcuni listelli si incrociavano, altri viaggiavano insieme, pochi si respingevano e molti cambiavano direzione continuamente.
La voglia di andare in palestra, rappresentava il primo legnetto scalatore che si muoveva deciso, il secondo, più incerto, raffigurava il bisogno di correggere i compiti dei miei alunni. A poca distanza seguiva il terzo, con un movimento altalenante, che corrispondeva alla necessità di fare la spesa al supermercato. Tanti altri pezzi di legno schizzavano. Il desiderio di telefonare a Lou, una mia cara amica, doveva essere raffigurato dal legnetto più  lento, quello che non riusciva del tutto  a decollare. Mentre i pezzettini colorati si intersecavano e mescolavano, pensavo al perché di quei pensieri accavalcati. 
Specchiandomi in quella bella vetrina mi è venuto in mente un pomeriggio di uno di quei giorni in cui i miei neuroni si intrecciavano: 
Leggevo un libro seduta sul divano, mentre ascoltavo la radio e subito mi veniva voglia di preparare un Poi pensavo alle lezioni del giorno dopo a cui avevo lavorato un attimo prima e contemporaneamente alla cena che bisognava preparare. Di colpo mi sono venuti in mente i miei figli ventenni, che erano in Spagna a studiare. Che voglia avevo di rivederli. Osservavo, sopra il tavolo, il giornale che avevo comprato e non avevo ancora letto. Forse in quel periodo mio marito lavorava troppo, mi dicevo. Lo avrei voluto abbracciare in quel momento. Respiravo e mi ripetevo:
 - Una cosa alla volta.
Mi fermavo, posavo il libro, chiudevo gli occhi e ascoltavo la musica lenta che emetteva la radio. Alzavo le palpebre lentamente, ma la prima cosa che vedevo erano i panni stesi e pensavo che li avrei stirati la sera, dopo aver parlato al telefono con mio padre novantenne, che ancora viveva nella vecchia casa secolare in un paese della costa catalana. Quanto avrei dato per stargli più vicino. Avrei guardato vecchie fotografie con lui. Gli avrei chiesto di nuovo perché Anita, la llevadora del paese, mi teneva in braccio il giorno del mio battesimo e perché mia madre non c'era nelle fotografie. Sì, i miei pensieri proprio si stavano affastellando.
Ho ripreso la bicicletta e grazie alla strada leggermente in discesa sono arrivata presto a casa. Mentre mangiavo una insalata ho pensato al legnetto più pigro della vetrina, quello che si muoveva poco.
Subito ho chiamato Lou. Le ho detto che avevo voglia di incontrarla, che potevamo trovarci nella terrazza di un caffè all'aperto accanto al supermercato e dopo aver fatto la spesa avremmo potuto chiacchierare. Lei ha accettato volentieri di prender una tazza di tè con me.
Mentre andavo a prendere la macchina ho incontrato una signora molto distinta che mi ha chiesto informazioni su una struttura geriatrica vicina. Ho guardato il suo viso un po' smarrito e le ho detto che l'avrei accompagnata. La signora camminava piano accanto a me, aveva una postura rigida e instabile. Mi ha colpito che le sue belle mani tremassero. Lungo la strada mi ha raccontato che voleva fare ginnastica in quel centro, perché era malata di Parkinson. Mi ha parlato anche delle cure che seguiva e io ho sentito molto tenerezza per lei. 
Qualche ora prima mi lamentavo delle mie cellule nervose che a volte si agitavano, ma erano pur sempre sane, pensai. Quelle della signora distinta invece, avrebbero lentamente smesso di muoversi. Nell'ultima fase della vita, la signora non avrebbe potuto né parlare, né leggere, né scrivere, e sarebbe stata costretta a rimanere immobile in un letto e io ne ero dispiaciuta. 
Ho accompagnato la signora fino al cancello, dove l'aspettava un'assistente sociale e sono salita in macchina verso il supermercato. Dopo aver fatto la spesa, ho incontrato Lou nel solito caffè e subito  ci siamo sedute a un tavolino nella terrazza, dove altre persone allegramente trascorrevano il pomeriggio. Abbiamo parlato a lungo della nostra quotidianità prendendo una tazza di tè.
 - Tra un po' devo andare a fare la cena, mi ha detto lei dopo mezz'ora  che parlavamo fitto fitto.
- Anch'io dovrei andare, altrimenti i surgelati arriveranno sciolti, le ho detto io.
Mentre tornavo a casa pensavo a come ero stata bene a chiacchierare con la mia amica,  forse erano stati i legnetti colorati quelli che mi avevano dato l'impulso per chiamare Lou; poi a casa  mentre sistemavo la spesa in cucina  mi è venuta in mente  la signora malata di parkinson e piano piano ho cominciato ad apprezzare tutti i gesti, movimenti, pensieri, fatiche, avversità, piccoli piaceri e dispiaceri della  la vita di tutti giorni.
   llevadora  - ostetrica




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